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Gerardo Rueda, Silenzi all’aria aperta, Consuelo Císcar Casabán
Gerardo Rueda, Scultore, Barbara Rose
Gerardo Ruedaa Roma: geometria e materia ai Mercati di Traiano, LUCREZIA UNGARO
Gerardo Rueda, e la tradizone artistica spagnola, Francisco Calvo Serraller


Barbara Rose

Storico dell'Arte

Gerardo Rueda: scultore

Nonostante le sue forme e le sue rappresentazioni siano cambiate, la pittura moderna ha seguito una traiettoria continua senza mai interrompersi dall’epoca in cui gli artisti cominciarono a usare la pittura ad olio su tela sino ad oggi. Con la scultura moderna invece non è successa la stessa cosa. Si può dire che, molte volte, supera la scala reale e dev’essere vista all’aria aperta e in funzione delle nuove tecnologie. La pittura su cavalletto, a differenza della pittura a muro, che va unita all’architettura che decora, è una proprietà personale che si può portare da una parte all’altra e che può appartenere ad alcuni individui e ai suoi eredi.

I principi del Rinascimento collezionavano piccoli bronzi e persino sculture in miniatura fuse nell’oro, così come fi gure e ritratti a grandezza reale. Gli scultori del barocco come Bernini costruirono fontane e statue meravigliose da mettere in giardino utilizzando temi mitologici e allegorici. In generale però la loro intenzione era far trasmettere alle grandi sculture l’idea della celebrazione di una vittoria in una battaglia. Queste sculture, che erano progetti fatti su incarico, richiedevano un lavoro intenso ed erano costose.

La crisi nella storia della scultura appare nel secolo XIX, per esattezza nell’opera di Auguste Rodin, che creò un’arte pubblica più vicina a coloro che rifi utavano il suo modo di vedere i lavoratori e gli scrittori, che ai soldati e agli uomini di stato visti come eroi. Sono leggendari i problemi che Rodin ebbe per poter mettere il suo Balzac e i Borghesi di Calais nei luoghi pubblici. Ciò nonostante, non solo vinse la battaglia di vedere le sue opere sia in strada che nei musei, ma instaurò anche una nuova relazione tra la scultura e il pubblico eliminando il piedistallo o la base che normalmente separavano lo spettatore dall’opera d’arte e innalzandola in modo tale da proclamare la sua forza e la sua superiorità.

Il nuovo carattere democratico della scultura pubblica si intensifi cò durante i primi decenni del XX secolo con i programmi utopici dei costruttivisti russi i quali concepirono un’arte astratta che non celebrava piú l’eroe singolo ma il progresso che l’industrializzazione e la tecnologia concedevano agli esseri umani – i quali, probabilmente, sarebbero stati liberati dalle macchine che si sarebbero occupate di fare il lavoro pesante. Con questo collegamento, anche l’arte avrebbe sofferto una rivoluzione. La rivoluzione nella scultura avrebbe abbandonato gli antichi metodi di produzione, come la dimensione e la forma, per sostituirla con una produzione industriale basata sulla saldatura e gli incastri. Tra i primi esempi di questa nuova tecnica di scaldare piastre di metallo invece di fondere il bronzo o di tagliare legno e pietra, ci sono la Chitarra di Picasso del 1912 e il suo Mandolino e Clarinetto del 1913. Si differenziano dalle statue che le precedono: non sono monoliti chiusi ma aperti e tagliati affi nchè lo spazio penetri dentro. Picasso in qualche occasione utilizzò di nuovo le tecniche e i materiali tradizionali, ma il cammino che aprirono lui e i costruttivisti russi forma parte dei sistemi razionali, dei materiali moderni e delle strutture urbane più che delle origini tribali e dei rituali delle sculture in legno di Gauguin o delle fi gure di bronzo ispirate nell’arte etrusca di Giacometti.

Comunque sia, il genio originale di questa rivoluzione della scultura non fu un russo, ma lo spagnolo Julio González. González tagliava le teste e i corpi in ferro e li saldava con tecniche artigianali di forgia che già utilizzavano i fabbri, lasciando a un lato la sal datura industriale. Infatti, González è conosciuto come l’inventore della scultura aperta e assemblata, una tecnica che lui stesso insegnò a Pablo Picasso e che poi avrebbe adottato il nordamericano David Smith. Il cosidetto “disegno nell’aria” di González, Picasso e Smith si basava su arabeschi liberi e lineari fatti con materiali tagliati e piegati con i quali creavano spazi aperti e trasparenti lasciando in un lato i volumi chiusi. Gli scultori astratti legati all’Arte Concreta incontrarono una sfi da nel dominio della linea associata alla raffi rugazione del paesaggio. Sostituirono il costruttivismo russo quando i sovietici e i fascisti vietarono l’astrazione, considerata incomprensibile per le masse. (Bisogna dire che avevano ragione sul fatto che l’arte astratta non serviva come propaganda e di conseguenza era poco utile nei programmi totalitari).

Torres García fu uno dei fondatori del grupo Cercle et Carré che uniò le differenti correnti internazionali. L’artista uruguaiano, la cui opera era molto conosciuta in Spagna, propose un’ alternativa all’astrazione partendo dalla natura nella creazione di un ordine universale fondato sui principi della costruzione. A Parigi sviluppò il costruttivismo sintetico nel quale integrava l’intuito e l’astrazione, una cosa indubbiamente frutto dell’infl uenza dello stile di Rueda, così come l’allegria di Torres García, che distinguono la sua opera e quella di Rueda dalla solennità del costruttivismo purista.

L’auge dell’arte concreta nei circoli cosmopoliti di Parigi degli inizi degli anni Trenta, che regalò un momento di freschezza dopo la Seconda Guerra Mondiale, è il contesto nel quale Gerardo Rueda si formò come artista. Infatti, la sua relazione con l’ avanguardia francese fece sì che lo considerassero come l’unico costruttivista spagnolo. Come sua madre, Ana Salabery, basca-francese, Rueda studiò al Liceo Francese di Madrid e parlava un francese fl uido. Aveva cugini e amici a Parigi e andava a trovarli spesso una volta terminata la Seconda Guerra Mondiale. Anche altri artisti spagnoli frequentarono la Parigi cosmopolita, ma loro si lasciarono attrarre più dallo stile espressionista informale che predominava nella pittura francese del dopoguerra. Per il suo rigido gusto classico e il suo senso del decoro e della semplicità, Rueda si sentiva più a suo agio con gli astrattisti dell’arte concreta che si vedevano nella Dense René Gallery.

Lo stile maturo di Rueda si descrive come astratto perchè non rappresenta nessuna immagine riconoscibile. Ciò nonostante, nell’arte astratta, la sua opera appartiene alla sottocategoria intellettuale dell’arte non oggettiva che non si basa sull’astrazione delle forme naturali ma sull’organizzazione delle forme ideali derivate dalla geometria.

È probabile che fosse proprio a Parigi dove Rueda entrò in contatto con l’estetica purista letteraria dell’arte concreta, come fece il pittore astratto americano Ellsworth Nelly, suo contemporaneo, che si trovava a Parigi in quel periodo. Kelly si sentiva attratto dalla severità geometrica e dalla purezza dell’arte concreta, le cui origini si svilupparono tra il 1930 e il 1945. Gli astrattisti concreti non oggettivi volevano dimostrare, d’altra parte, che un aereo è un aereo e una luce è una luce, niente di più e niente di meno. La succesiva evoluzione dell’arte concreta, guidata dal costruttivista svizzero Max Bill, rivendicava l’eliminazione della relazione fi gura-fondo, l’aspetto più importante dello spazio illusionista dell’arte rappresentativa.

I primi disegni di Rueda a Parigi spesso mostrano proiezioni di volumi tridimensionali. Già dall’inizio faceva profi li (normalmente in legno ma spesso anche in metallo) per sculture che voleva avessero delle dimensioni a scala monumentali. In questo modo risaltava le superfi ci dei solidi semplici tridimensionali, visto che le sue superfi ci si evidenziavano con i contrasti delle proiezioni e delle retrogradazioni della luce e dell’oscurità. I primi disegni astratti che fece Rueda negli anni quaranta, utilizzavano già l’architettura come tema principale tanto da ricorrere alla prospettiva del disegno architettonico, indizio di volume a differenza dei cubisti che appiattivano le forme. Questa metafora architettonica è la base della scultura. La questione del volume divenne fondamentale nelle prime opere di Rueda. Era ancora uno studente di diritto quando partecipò nel 1949 ad un’ esposizione collettiva nella galleria della Revista de Occidente (Rivista di Occidente), fondata dal fi losofo José Ortaga y Gasset, il cui pensiero umanista avrebbe infl uito sempre su Rueda. Nella sopracitata esposizione, presentò un piccolo dipinto ad olio chiamato Due Case, un’astrazione architettonica che aveva dipinto l’anno prima. I dipinti di Rueda di fi ne anni quaranta e inizi degli anni cinquanta sembrano specialmente originali perchè riducono e semplicizzano le forme in volumi geometrici, in un modo tale che lasciano intravedere le forme delle sue sculture con la proiezione delle sue forme voluminose. Questo contrasto tra la superfi cie piatta e i volumi cambia l’illusionismo tridimensionale tipico dell’arte accademica. Fin da queste prime opere riconosciamo la grazia e l’ingegno che condraddistinguono lo stile di Rueda come un artista maturo, cosa che è riccamente suggestiva e allo stesso tempo severamente riduzionista. Forse, più concretamente, al fare riferimenti agli edifi ci medievali, Rueda riconosce che all’architettura moderna mancano volumi contundenti e la presenza monumentale della cattedrale medievale.

Logicamente, Rueda ammirava tutto ciò che era stato ottenuto nelle epoche precedenti. Persino da giovane Rueda preferiva le composizioni relazionate all’architettura piuttosto che alle fi gure o al paesaggio. Questq sua preferenza per le forme rigide e volumetriche dell’architettura, soprattutto quelle dell’architettura classica, lo avrebbe accompagnato durante tutta la vita e avrebbe avuto un’infl uenza sia nella sua opera pittorica sia nella scultura.

Il pensiero illuminista del razionalismo francese non si diffuse in Spagna, come ben presto si resero conto Goya e i suoi amici. Forse per il dualismo culturale delle sue radici, francese e della Castiglia, Gerardo Rueda vide nella compostezza e nell’armonia del classicismo la sua espressione naturale. Umanista, sia per educazione che per temperamento, Rueda credeva che l’uomo era sempre la misura, un concetto che si rifl ette in tutte le sue opere. Per questo motivo, il suo senso della scala come dimensione relativa che dipende dalla comparazione delle parti e dei dettagli, è un elemento importante del suo stile che si allontana dall’intercambio deliberato della scala per avvicinarsi alla scultura Minimalista. Come pittore, Gerardo Rueda non pretendeva sostituire la scala reale con una decorazione esagarata o fuori dal normale. I suoi quadri, i suoi collage e i suoi disegni erano destinati agli spazi domestici o ai musei. Non succede la stessa cosa nella sua forma di concepire la scultura: i bozzetti che preparava per le sue opere future erano pensati fi n dall’inizio per essere sistemati in spazi aperti. Come molti altri artisti, Rueda aveva concepito progetti pubblici a grande scala prima di ottenere mezzi economici o tecnici per portarli a termine. Infatti, l’evoluzione della scultura moderna si caratterizza in generale per la dicotomia tra la concezione e l’azione provocata dalle diffi coltà di realizzare grandi sculture che richiedono offi cine e fonderie. Questo aspetto contrasta con la facilità con cui l’artista può arrivare a dipingere quadri da solo, visto che non ha bisogno ne di aiuti economici ne di apparecchiature tecnologiche.

Quello per cui si lasció attrarre Rueda fu il carattere di collaborazione della natura così come il suo potenziale per far partecipe il gruppo. Fruiva della relazione con il suo vecchio amico e membro della Real Academia de Bellas Artes, Eduardo Capa, la cui fonderia di bronzo fu tra le prime in Spagna a fare scultura moderna a grande scala, in un momento dell’industria dell’arte in cui l’alta qualità e la precisione che esigeva Rueda erano possibili.

Gerardo Rueda, che pretendeva che la sua opera fosse condivisa da tutti, dai bambini fi no agli spettatori più sofi sticati, fue uno dei primi spagnoli a rendere importante le opere a scala monumentale. Quando morì repentinamente nel 1996, le sue idee andavano verso la realizzazione di opere tridimensionali. Ovviamente, e visto e considerato che era l’artista più solido e coerente, queste opere erano strettamente legate ai suoi rilievi e ai suoi dipinti geometrici. Tra le ultime opere di Rueda c’è un rilievo abbastanza grande fatto di pezzi di metallo che aveva incontrato rovistando tra i rottami di ferro. Allo stesso modo che i suoi collage fatti con materiali raccolti, la sua opera Recuerdos (Ricordi), che si trova nella collezione dell’IVAM, la più grande della scultura di Rueda, trasforma i pezzi di metallo in una bellissima opera d’arte attraverso una trasformazione estetica che unisce i diversi frammenti per formare un unico insieme molto bello da vedere esteticamente. Secondo Fernando Capa, che accompagnò all’artista nelle sue incursioni, che era come andare a cercare il tesoro nei vari mercatini in giro per il mondo, Rueda voleva proseguire con questa serie di rilievi monumentali quando fu sorpreso dalla morte. La tecnica di assemblaggio che si vede nella collezione è molto relazionata alle junk sculptures (sculture immondizia) dei nordamericani Robert Rauschenberg e John Chamberlain, che come Rueda fecero le loro prime sculture con rifi uti. Allo stesso modo che i dipinti, disegni e collage, i bozzetti delle sculture erano basicamente architettonici e non solo geometrici. Il senso della scala di Rueda era infallibile, per cui, quando ampliava i bozzetti non distorceva ne l’espressione ne l’equilibrio. Fosse quale fosse la grandezza, le sue opere suggerivano sempre monumentalità. Al giorno d’oggi, un simulatore di uno spazio urbano al computer ci permeterebbe di vedere come queste sculture appaiono inserite in vari scenari, purtroppo però questi programmi sofi sticati non erano disponibili fi no a poco tempo fa. Per questo motivo, un artista come Rueda doveva dipendere dalla sua immaginazione e dalla sua straordinaria capacità di creare la scala attraverso la relazione delle parti e il gioco di luci e di ombre dei volumi.

Le foto nelle quali vediamo Rueda mentre aiuta a installare le magnifi che porte di bronzo che disegnò per il padiglione della Expo 92 di Siviglia mostrano la scala monumentale dell’entrata, la quale possiede il peso e l’importanza delle porte delle cattedrali che Rueda tanto studiò e ammirò. I rilievi in bronzo dedicati a Paul Klee costituiscono l’origine delle superfi ci rivestite. Si ispirano in rettangoli come le casse dei quadri di Klee delle città fantastiche. Le altre foto di Rueda, scattate nei suoi ultimi anni, mostrano le sue visite coraggiose ai depositi di ferraglia mentre cerca materiali che avrebbe potuto trasformare in grandi sculture.

Più di una volta si è detto che Gerardo Rueda è l’unico costruttivista spagnolo. Non è però del tutto vero; in Spagna ci sono stati pittori geometrici importanti, però nell’opera di Rueda c’è una certa riserva e prudenza che apparentemente va unita con l’immagine popolare della Spagna delle corride dei tori e dei drammi oscuri. Lo stesso Rueda vedeva la sua opera dentro la tradizione spagnola, concretamente nelle sue nature morte o nella natura morta di oggetti quotidiani. Infatti, una delle sue ultime collezioni la chiamò Bodegones (natura morta).

A Rueda non piaceva l’esagerazione retorica dello stereotipo folclorico della cultura spagnola. Non poteva trovarsi in un punto più lontano rispetto all’umore di Picasso e alle sue imitazioni del carattere spagnolo. Gerardo Rueda, era d’altra parte, un classicista al quale non piaceva la dimostrazione espansiva e la teatralità del barocco e nemmeno qualsiasi altro tentativo banale di fare il gioco delle masse. Elogiava la sensibilità e il sentimento, ma si sentiva offeso dai sentimentalismi banali e dalle dimostrazioni effusive delle emozioni. Rueda non lavorava per il mercato e non invocava nemmeno l’approvazione del pubblico. Così come non si identifi cava con gli argomenti sofi sti degli artisti concettuali del dopo Duchamp. Come persona e come artista, Gerardo Rueda era riservato, sintetico e chiaro. Cercò di captare questi ideali nel suo equivalente contemporaneo. Nel 1968, fece un’esposizione nella galleria Juana Mordó di una collezione di una Quinta di colore bianco. Fu una dichiarazione radicale di anti-illusionismo purista. Ciò nonostante, Carmen Laffón ricorda che erano gli amici di Rueda più che Rueda stesso quelli più preoccupati per la perfezione immacolata, tanto da arrivare al punto di togliere la polvere ai quadri giusto un minuto prima dell’inagurazione affi nchè risultassero impeccabili. Curiosamente, il regalo che Rueda fece a Carmen Laffòn per ringraziarla fu una piccola scultura di bronzo geometrica che chiamò The Moppers (quelli che fanno le pulizie), in onore ai suoi amici che lo avevano aiutato pulendo i suoi quadri. Carmen Laffòn conserva come un tesoro il regalo di Rueda nella sua casa di Sanlúcar de Barrameda. Nonostante l’opera sia piccola in quanto a dimensioni, è monumentale in quanto alla scala. Questo senso assoluto della scala e di come darle monumentalità attraverso le relazioni è proprio quello che caraterizza tutta la scultura di Rueda. Questa eleganza si ripete nelle superfi ci piatte, soffi ci e continue delle sue sculture a grande scala sia di metallo pitturrato che non pitturato. Le superfi ci brillanti e pulite di Manhattan sono come una pista di pattinaggio in perfette condizioni e senza nessuna macchia, appena pulita e senza essere stata graffi ata da nessun pattinatore. In tutte le opere di Rueda, ma soprattutto in tutte le sculture, osserviamo questa precisiones, questo suo calcolare nei minimi dettagli la relazione dei volumi per ottenere un senso assoluto dell’equilibrio.

I volumi grossi che sembrano di legno spesso rievocano qualche opera dello scultore contemporaneo nordamericano Joel Shapiro, anche se c’è da dire che i volumi di Shapiro hanno una connotazione fi gurativa nonostante l’astrazione aperta. Quelli di Rueda invece si fanno sempre riferimento alle forme architettoniche degli edifi ci.

Per molti motivi crediamo che se Gerardo Rueda fosse ancora vivo, si sarebbe dedicato alla scultura. Durante la sua vita realizzò sculture geometriche che lui stesso considerò bozzetti per opere a grande scala. Voleva che la sua arte fosse contemplata dal pubblico in generale e non solo da una piccola elite. Per ottenerlo, utilizzò forme universali e oggetti familiari quotidiani. Le sculture tridimensionali, che concepì come bozzetti per opere più grandi, spesso ricordano le riparazioni semplici ma allo stesso tempo monumentali della natura morta spagnola. Allo stesso modo, alcune evocano fantasie di città ideali attraverso le sus allusioni alle forme architettoniche. Nel 1973, realizzò il murale in rilievo di granito peri il Museo della Scultura all’aria aperta del Paseo de la Castellana di Madrid. Immaginiamo che questa esperienza ispirava Rueda. Le sue costruzioni iniziali e monocolore, i Bastidores, di metà anni sessanta erano fatte su tela. L’alternarsi del davanti e del dietro delle tele tirate su un rettangolo più grande era una brillante risorsa di auto-riferimento che dimostrava il dominio del punto di vista modernista di Rueda di esporre a coscienza tutti gli elementi nell’opera d’arte. Rueda però si stancò presto della leggerezza della tela e la cambiò per il legno come base, cosa che dava alle sue opere un aspetto più anonimo e distante. Copriva la superfi cie rigida con varie cappe dal colore opaco cosa che creava lo stesso effetto vellutato delle pareti del museo di Cuenca. L’impenetrabilità di queste superfi ci dure e resistenti, così come la decisiones di non rappresentare le forme, ma di attualizzarle con rilievi tridimensionali, è quello che unisce Rueda alle correnti internazionali che rifi utavano l’illusionismo più di quanto lo facesse il trattamento tradizionale dello spazio pittorico dei suoi contemporanei spagnoli.

L’evoluzione logica dei dipinti, dalla superifi cie piana alla proizione in rilievo dello spazio reale e all’allontanamento delle forme delle tele fi no ad arrivare alle forme tridimensionali nello spazio reale è il comune denominatore dell’arte avanzata degli inizi degli anni sessanta. Donald Judd spiegò i motivi di questa evoluzione in un testo amplicamente diffuso chiamato Specifi c objects (Oggetti Specifi ci). Secondo Judd, “le tre dimensioni sono lo spazio reale”, il quale era superiore a qualsiasi illusione della terza dimensione rifl essa su una tela bidimensionale. Per gli artisti minimalisti, qualsiasi riferimento alla recessione illusionista della profondità che si trova dietro il disegno piatto, sarebbe stata considerata unicamente accademica. Quando Judd pubblicò il manifesto minimalista, Rueda era già abbastanza concentrato nella sua recerca della realtà delle proiezioni internazionali. Ai quadri in rilievo della collezione di Quinte si unirono collage innovativi fatti con scatole di fi ammiferi o pacchetti di sigarette pitturati e utilizzati come elementi modulari organizzati secondo schemi ritmici. Presto le tele e i collage in rilievo lasciarono il passo a montaggi tridimensionali incorniciati dentro a pesanti strutture o casse che incorporavano elementi architettonici come sagome o che facevano riferimento all’architettura.

Per esempio, il motivo triangolare, che spesso osserviamo nelle pitture in rilievo di Rueda, è una segnale che denota che studiò le piramidi egiziane così come i frontoni greci classici. Evocano anche i triangoli architettonici seccanti di Max Bill costruttivista svizzero. Bill, uno degli artisti geometrici più originali, interpretò il costruttivismo con pitture anti illusioniste molto curate e con rilievi che chiamò “arte concreta” e che avevano molto a che vedere con il Minimalismo nordamericano. All’inizio, i rilievi di Rueda erano strettamente geometrici, ma nel 1973 cominciò a utilizzare oggetti come le gambe di legno dei mobili o gli stampini. Per molti aspetti, l’interesse di Rueda per questi oggetti o per l’artigianato e le arti decorative era in generale simile a quello del astrattista geometrico nordamericano Patrick Henry Bruce che inventò una strana forma di astrazione geometrica basata sulle proiezioni volumetriche. Bruce come Rueda era un purista alla recerca dell’assoluto.

Nel 1983, Rueda spiegava al critico Julián Gallego que “Il tutto nella sua pura semplicitá dvbe basarsi su una realizzazione impeccabile che fa si che la mano tremi. Una costruzione che deve sembrare che sia stata fatta da una macchina, ma una macchina che pensa e che rifl ette una grande sensibilità”. Quello che non era essenziale veniva eliminato senza pietà. Erano vietati gli aneddoti e la digressione. Le forme dell’opera matura sembravano legate a un reticolato invisible che faceva da struttura implicita, come se avesse delle travi d’appoggio invisibili. Il risultato, con un equilibrio di elementi verticali e diagonali, è il dramma, ben pronunciato perchè evoca le cattedrali o l’armonia augusta dei tempi greci. Come già abbiamo visto, Rueda creò da giovane un mondo in miniatura, minuscole città ideali nelle quali le porte e le fi nestre erano rettangoli colorati. In tutte le opere di Rueda si percepisce l’ispirazione, anche se l’enfasi cambia quando l’artista matura e comincia a creare i suoi propri universi sulla carta, sulle tele, sui rilievi e sulle sculture. Tutti trovano la loro ragione d’esistere nei contrasti delle luci e delle ombre più che nelle variazioni che vanno dall’illuminato all’oscuro e risaltano il volumen con una franchezza drammatica.

Fin dagli inizi della sua carriera, la più preoccupazione più grande di Rueda fu il volumen perchè esisteva dentro lo spazio. Nel 1956, Fernando Zóbel, nel catalogo di un’esposizione che organizzò per le Isole Filippine intitolata Five Paintings by Four Spanish Painters, scriveva: “Rueda… più che altro sembra mostrarci una costruzione. Più che altro ma non del tutto, quello che ci rivela è lo spazio. Lo spazio che sta in cima a tutto, chiaro e defi nido”. Questa descrizione delle inquietudini di Rueda é specialmente appropriata cuando si tratta della sua scultura. Rueda rifi uta l’enfasi nell’espressione personale a favore dei concetti universali dell’ordine e dell’armonia. In questo modo era abbastanza logico che il pittore contemporaneo francese che ammirava di più era Nicolas de Staël. Nella sua carriera Rueda seguì la massima di Mies van der Rohe: il meno è più. Il suo obiettivo era ridurre all’essenza, cosa che non voleva signifi care semplicità ma distillazione e economia. Verso la fi ne della sua carriera, avrebbe eliminato l’aneddoto e i dettagli inutili. L’addensamento era lo strumento che utilizzava per esprimere solo l’essenziale in un’opera d’arte, che per lui era la sua struttura. Quanto più evolucionava il suo stile, e più era cosciente delle sue inquietudini strutturali, specialmente quelle relazionate all’imagine con la sua cornice, che indubbiamente, es la parte fondamentale di tutte le opere classiche. In questo senso, quello a cui ci riferiamo cuando diciamo “classica” non è l’interesse per l’antico come modello, ma piuttosto per la forma che enfatizza la monumentalità e le strutture armoniche, generalmente basate sulla geometria. Anche se l’ispirazione in qualche scultura di Alameda sembra essere un complesso di edifi ci uno dietro l’altro, Rueda mischia le sue forme all’interno dei volumi fuori dal normale di una cattedrale romanica. Non è una critica del paesaggio urbano moderno, ma un riconoscimento all’architettura moderna che è priva di volumi poderosi e della colossale presenza della cattedrale medievale. Un’altra delle contraddizioni di Rueda era che non permetteva convertire il suo gusto per il passato in nostalgia, al contrario cercava di trasferire i suoi valori ai loro equivalenti contermporanei. In questo nesso, la sua relazione con la città di Cuenca, che fu cittá real nel medioevo, é di vitale importanza. Quando Rueda comprò lì la sua casa di villeggiatura, molte delle sue strutture originali erano intatte, inclusa la cattedrale. I colori illuminati, le ombre profonde e le selci di Cuenca esercitarono senza ombra di dubbio un’infl uenza importante su Rueda. Le famose case appese del XV secolo distendono la sua ombra nel precipizio. Il loro contorno creaba un gioco dramático di luci e ombre che si convertì nella fonte di ispirazione della scultura e della pittura di Rueda. Studiò con devozione la cattedrale di Cuenca e fi nì per costruire vetrate per gli interni. Le pesanti porte di legno della cattedrale con le sue mandate intrecciate che seguivano l’architrave e gli stipiti e formavano un reticoltato che confermava le strutture usate in precedenza da Rueda.

Nei numerosi collage che realizzò Rueda a Cuenca, il tema dell’architettura ha molta importanza. Le forme delle case appese appaiaono nelle opere importanti di metà anni sessanta, come nelle Quinte e nelle Scatole di fi ammiferi, nelle quali le strutture laterali e i pacchetti di sigaretti, lontani dalla loro identitá mondana originale, evocano la struttura rettangolare delle case appese. Per di più, quella forma magica di essere in sospeso delle case, appese a un precipizio, ispira alcune delle strutture più drammatiche, più oscura nella parte superiore che nella base. Non dobbiamo peraltro dimenticare le strutture volanti precedenti che nell’architettura moderna è altrettando fondamentale per queste opere tridimensionali. Insieme a Zóbel, Rueda familiarizzò con il concetto del wabe, il principio estetico di base della cultura zen giapponese. L’austerità di wabe, che dava importanza alla sobrietà e al vuoto, rispondeva al suo bisogno interno di uno spazio silenzioso e meditazione. Infatti, una delle caraterristiche dell’opera di Rueda, in tutti i suoi frammenti, è la sua eleganza e la discrezione, così come la sua predilezione per l’austerità e la misura o l’imposizione dell’ordine, persino nelle collezioni degli oggetti trovati. La sua visita ai giardini Zen di Kyoto insieme a Zóbel fu uno dei viaggi più gratifi canti che continuò ispirando le sue sculture, fi no ad arrivare a suggerire una certa relazione con le forme pure di uno scultore como Noguchi.

Negli anni sessanta, Rueda risolse il confl itto tra la sua preoccupazione per il volume e il suo rifi uto a rappresentarlo nel modo illusionista facendo volumi espliciti (incorporava liberamente le ombre nelle sue composiozioni). A lungo andare, questi si sarebbe trasformati in sculture geometriche tridimensionali che evocano i volumi semplici e forti dei suoi primi disegni.

Nel 1980, il critico tudesco Helmut Kruschwitz, nell’introduzione che dedicò a Rueda per la sua esposizione nella Galleria Theo, osservava la relazione tra Rueda e gli artisti minimalisti americani o con il gruppo Zero in Europa, che cercavano di creare una nuova relazione, più diretta, tra lo spettatore e l’opera d’arte. Forse doveva proprio essere un critico straniero a capire il contesto internazionale del rifi uto di Rueda all’illusionismo a favore del oggetto tale e quale, nudo e senza ornamenti. Esisteva nel presente non come un’illusione per qualcosa ma un’illusione per se stesso, era così reale come un tavolo o una sedia che smetteva di essere la rappresentazione di un oggetto. Lo stile di Rueda si fece maturo e ogni volta più incisivo e geometrico. Tutto ciò che non era importante, lo lasciava da parte automaticamente. Erano vietati l’aneddoto e la digressione. L’apprezzamento dei limiti e dell’eco disciplinato e armonico del limite stesso nelle scatole dei fi ammiferi era un indizio di autocontrollo. Lo era anche il rettangolo della cornice nella serie Quinte. Nelle vetrate, la forma circolare della fi nestra si ripete nelle forme curve dell’interno, le quali formano tutte parte di un cerchio, invertito o al rovescio, senza però rinunciare a far riferimento alla forma originale dalla quale sorgono.

Questo gioco di rime è tipico delle forme di Rueda e delle diverse confi guración nelle quali sembra che stia giocano agli scacchi con se stesso. Caratteristica è anche la sua astuta genialità. Tutte le opere della sua fase più matura si basano proprio in questi capovolgimenti e cambiamenti e tutte hanno una certa analogia musicale. Ciò nonostante, quelle che fece nelle vetrate degli ultimi anni, ricordano specialmente le variazioni di Bach su un tema, ma soprattutto ricordano le sequenze di accordi che aumentano e diminuiscono nelle parti due e tre di Inventions. I solidi geometrici di base come il cilindro, la sfera e il cono –i tasselli rudimentali di Cézanne- sono forme fondamentali nelle sculture di Rueda, così come il blocco que si innalza come il simbolo della costruzione. Per questo motivo non sorprende che lo stile di Rueda come scultore si relazioni di più con la scultura volumetrica di Chillida e Oteiza che con il disegno calligrafi co nello spazio di Gonzaléz. I suoi volumi chiusi evocano l’architettura più che la fi gura umana. Sotto tutti i punti di vista, Rueda è un arstista strettamente astratto la cui opera non viene dalla rappresentazione fi gurativa, e si avvicina più a Judd e Kelly e persino alle poco conosciute ma eleganti opere dello scultore modernista nordamericano John Storr. Il gran dono di Rueda è forse la sua abilità per capire l’astrazione inerente al cubismo per percepirla poi in termini di volumen sia esplicito che implicito. Nelle sue mani, la forma non si adegua alla superfi cie piana bensì vede la forma come un’idea, come qualcosa che esiste simultaneamente nello spazio e nell’immagine. Questo si può apprezzare chiaramente esaminando prima le sue opere iniziali e poi quelle posteriori nelle quali amplia e sviluppa queste idee. L’invenzione del corten, un tipo d’acciaio che si erosiona da solo, senza bisogno di ripulirlo, permise agli scultori di creare nuove forme saldando placche in metallo senza che si vedessero le giunture e di creare corpi che in realtà erano buchi. Questo fece sì che la scultura monolitica e volumetrica avanzasse, cosa impossibile fi no ad allora. Barnett Newman fu tra i primi che sperimentarono con l’acciaio corten e indubbiamente Rueda rimase profundamente impressionato con il Broken Obelisk (Obelisco Rotto) di Newman che ebbe l’opportunità di vedere in un viaggio a Houston, Texas. Rueda, allo stesso modo che Newman, lasciava senza pitturare la maggior parte dei pezzi d’acciaio corten affi nchè con il tempo prendessero un colore vellutato. Dall’altre parte però pensava pitturare qualcuna dells sue sculture più grandi, come Construcción Madrid I (Costruzione Madrid I) (per la quale realizzó i bozzetti nel 1979) con colori brillanti, come facevano con le loro sculture David Smith, Max Bill o Mark di Suvero che riempivano le sue opere di colori primari radianti per evidenziare la linea dell’orizzonte. Tra le sculture più originali di Rueda ce ne sono alcune con le rifi niture in cromo, come Cubo, nelle quali le forme di diamanti dell’interno sono un soprendente capovolgimento della superfi cie piana esterna, o Manhattan, una scultura orizzontale con strumenti musicali che evocano un edifi cio Bauhaus. La creazione di queste opere splendenti aveva bisogno di una tecnologia per le parti a scala grande che non erano ancora disposinibili quando morì Rueda. Realizzò bozzetti per le opere sperando che nel futuro qualcuno le óptese fare a grande scala. Il disgiungimento tra il concetto e l’azione è abbastanza tipica nello sculture moderno le cui opere poche volte sono fatte su richiesta con pagamento in anticipo. Prima che l’epoca moderna allontanasse l’arte dalla religiones e lo stato in nome della libertà e dell’individualismo, gli scultori potevano contare con la sponsorizzazione delle istituzioni che li pagavano per fare i bozzetti. Lungo la storia, la chiesa e lo stato avevano fi nanziato l’arte pubblica. I giardini dell’aristrocazia si riempirono di sculture, ma il pubblico non vi poteva accedere. I grandi artisti moderni sognavano di liberare le loro opere dai confi ni atrtifi ciali del museo e di integrare l’arte nel contesto urbano. Durante la maggior parte del ventesimo secolo, questi progetti rimasero bozzetti. I costruttivisti russi si concentrarono nell’utilità sociale dell’arte e realizzarono progetti pubblici come Monument to the Third International (Monumento alla Terza Internazionale) di Tatlin, che non arrivò mai a farsi a grande scala. Il primo progetto più famoso di arte pubblica, che si concluse vent’anni dopo il suo concepimento, è Endless Column (Colonna senza fi ne) di Brancusi. Concepita in origine nel suo studio, la Endless Column, con trenta metri d’altezza, fu fatta in metallo e messa nella sua ubicazione nel 1937 come parte di un parco di sculture della città industriale romana di Targu Jiu. Il parco includeva la famosa Table of silence (Tavolo del silenzio), con i suoi dodici seggiolini-orologio di sabbia fatti con marmo travertino e, all’entrata, la scultura Gate of the kiss (Porta del bacio) di cinque metri.

Brancusi voleva che il parco e la Endless Column (fatta con una massa di quindici cubi metallici romboidi, e che considerava come “una scala verso il cielo”) fossere considerati come un unico complesso. Brancusi concese il complesso di Targu Jiu al suo paese nel 1937 ma morì a Parigi vent’anni dopo, prima che si potesse terminare la sua visione di un parco pieno di sculture. Nel 2000 si restaurò la struttura di trenta metri d’acciaio e si ripetirono i suoi moduli di zinc e ottone con una rifi nitura di bronzo pulito. Gli scultori come Brancusi, Miró, David Smith o Mark di Suvero, concepirono l’arte pubblica con lo stesso spirito dei costruttivisti russi. La sua fama però era tale che agli inizi degli anni sessanta i politici di Chicago, desiderosi di avere un monumento civile, chiesero all’artista che facesse un’opera che fosse l’emblema di Chigago, così come (come poi avrebbe affermato una pubblicazione locale) la Torre Eiffel rappresentava Parigi. Picasso non vide mai realizzarsi la scultura. Una volta ricevette un incarico, fece il bozzetto di un metro più o meno che più tardi si ampliò a una scultura cubista tridimensionale di acciaio corten di circa 15 metri che si inaugurò nel 1967. L’opera si convertí in un simbolo della vitalità culturale della città, fi no al punto che, cinque anni dopo, Chicago avrebbe creato una legge per cui la cittá doveva riservare una parte del bilancio annuale dedicato alle costruzioni e ristrutturazioni all’acquisto di opere d’arte. Il centro di Chicago si sta trasformando in una galleria di sculture all’aria aperta. Se altre città copiassero l’esito di Chicago, sicuramente le enormi sculture esterne di Gerardo Rueda potrebbe alla fi ne trovare il suo spazio.

New York, 2009